METODOLOGIA DELLA RICERCA: IN CHE COSA CONSISTE LA RICERCA?

IN CHE COSA CONSISTE LA RICERCA?

Il senso comune si fa spesso un'idea semplificata e piuttosto imprecisa della Ricerca Scientifica; l'opinione comune tende a credere che l'attività di ricerca consista semplicemente in una “raccolta” di informazioni che la realtà elargisce spontaneamente. C’è il credo erroneo che ognuno si possa sentire autorizzato a sentirsi di essere competente in merito a diversi argomenti, specialmente nel campo delle scienze umanistiche.

Nel XIX secolo il Positivismo, pensiero inaugurato dal filosofo francese Augusto Comte, teorizzò un'idea del metodo scientifico molto semplice, basandosi sul metodo scientifico sperimentale di Galileo Galilei: lo scienziato sottopone a osservazione i fenomeni, individua tra essi relazioni costanti e infine formula una legge, cioè una relazione che lega tali fenomeni in modo necessario. Comte riteneva l’approdo a questo tipo di procedura una conquista dello spirito "positivo”, capace in questo modo di affrancarsi da ingenue spiegazioni teologiche dei fenomeni o da astruse costruzioni metafisiche prive di efficacia esplicita.
A fondamento del modello positivista della ricerca stava la fiducia nel processo di induzione, ovvero il procedimento logico con il quale ricaviamo conclusioni di carattere universale partendo da conoscenze relative a casi particolari, attestati all'esperienza. La concezione Positivista suscitò molto presto opposizioni e perplessità: in particolare l'idea di assimilare le procedure delle Scienze Umane a quelle delle Scienze della natura fu negata fortemente dai filosofi dello storicismo tedesco, i quali sostennero con varie argomentazioni, l'irriducibilità delle prime alle seconde. Tuttavia è nel corso del ventesimo secolo che è stata criticata ti radicalmente.

L'epistemologia è la branca della filosofia che si interroga sulla natura e sui fondamenti del sapere scientifico. Nel ventesimo secolo questo tipo di riflessione ha avuto una grande rilevanza all'interno del dibattito filosofico, in buona parte dominato dalla discussione critica del modello scientifico positivista. La filosofia scientifica del Novecento, le cui figure di spicco sono Karl Popper, Thomas Kuhn e Paul Feyerabend, ha messo in discussione proprio i due assunti chiavi su cui positivismo aveva costruito la sua nozione di ricerca scientifica.
In primo luogo ha sottolineato la debolezza del principio di induzione, in secondo luogo ha rifiutato l'idea che la ricerca possa iniziare dalla pura e semplice osservazione dei dati.
Fare ricerca significa cercare nell'esperienza prove e situazioni che possono invalidare la teoria di partenza, al fine di saggiarne la solidità. Una buona teoria, secondo Popper, lo è quando ha resistito a ogni tentativo di confutazione, posizione del falsificazionismo.
Nella ricerca lo studioso pone domande alla realtà costringendola a “piegarsi” ai suoi interrogativi e i suoi interessi, ma disposto comunque ad accettare le risposte che riceverà, e a mutare, in funzione di queste, la propria visione delle cose.

Ma perché interroghiamo la realtà in cerca di risposte? Perché andiamo alla ricerca di dati che forse  sovvertiranno i nostri presupposti e nostre conoscenze?
La risposta è che ogni ricerca prende avvio da un problema, cioè da una situazione di mancanza, di privazione, che è vissuta come disagio e chiede di essere risolta. 
Nel campo delle Scienze Umane raramente la ricerca è mossa da mezzi che così impellenti, ma scaturisce comunque da fattori di criticità che stimola l'interesse dello studioso. 
Un esempio è lo studio dello psicologo statunitense Stanley Milgram, il quale nel 1961 condusse un esperimento sull' influenza dell'autorità, quando da poco era iniziato il processo contro il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann. Era interessato a capire quali meccanismi psicologici potevano aver spinto i soldati tedeschi a seguire gli ordini disumani che avevano ricevuto.

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