SOCIOLOGIA: LE ISTITUZIONI PENITENZIARIE

 LE ISTITUZIONI PENITENZIARIE

L'evoluzione delle istituzioni penitenziarie nella cultura occidentale rappresenta un'ottica privilegiata da cui  cogliere i tratti tipici di ogni istituzione:
-i criteri ed i sistemi con cui ogni comunità decide di sanzionare i comportamenti non conformi alle norme socialmente condivise, costituiscono la manifestazione più visibile, se non addirittura il paradigma, del controllo sociale; 
-la molteplicità di scopi sociali di cui la collettività investe le istituzioni, permette di cogliere in esse un caso emblematico della pluralità di funzioni, aspetti e significati che caratterizza ogni ambito istituzionale; 
- le istituzioni penitenziarie sono delle organizzazioni.

DAL SUPPLIZIO ALLA SORVEGLIANZA


Fino alla seconda metà del Settecento la prigione era una sala d'aspetto per coloro che avevano commesso dei crimini, infatti questi venivano, come pena, fustigati e torturati: la punizione, come ha mostrato poi lo storico e filosofo francese Michel Fouocault, era una vera e propria dimostrazione di forza da parte del potere politico nei confronti di chi aveva violato la legge. 
Perché nascesse il concetto moderno di "prigione" erano necessari, da un lato il ripensamento del significato della pena, e dall'altro la diffusione a livello sociale di una nuova sensibilità. Ciò avvenne a partire dal XVIII secolo, quando gli intellettuali illuministi invocarono la necessità di un diritto di pena più razionale e umanitario. Parallelamente a questo si affermò quel processo di affinamento dei costumi e dei comportamenti che il sociologo tedesco Norbert Elias definì Zivilisation e che dai ceti più elevati si diffuse gradualmente a strati sempre più ampi della popolazione. 
Fu comunque negli Stati Uniti, per iniziativa dei quaccheri, movimento religioso di matrice protestante, che nella seconda metà del Settecento sorsero le prime carceri nel senso moderno del termine. Il loro nome, pennitentiary houses spiega la finalità di tipo spirituale e religioso che ne ispirò la creazione: permettere al recluso l'espiazione delle proprie colpe , attraverso l'isolamento e la pratica quotidiana del lavoro.  Walnut Street inaugurata in Penssylvania nel 1774, fu la prima struttura di questo tipo. 
Secondo Foucault, con la nascita delle prigioni moderne si assiste a una nuova modalità di punizione, quella della "tecnologia disciplinare", il cui scopo non è più quello di martoriare un corpo, bensì di controllarlo e sorvegliarlo. A tale intento viene finalizzata la stessa struttura architettonica del carcere, che deve garantire sorveglianza costante, ma al tempo stesso impedirgli di conoscere in quale momento è osservato, favorendo così l'interiorizzazione della punizione. 
L'istanza di disciplina e controllo che presiede  al sorgere delle carceri, si afferma, secondo Foucault, anche nelle "istituzioni segregative" che nascono parallelamente nella società occidentale: scuole, manicomi, ospedali e caserme, ma anche nelle scienze umane, studio sorto nello stesso periodo con lo scopo di studiare il comportamento ed i meccanismi che determinano un individuo. 

LA FUNZIONE SOCIALE DEL CARCERE


Da un lato la gente imputa alle autorità giudiziarie un uso limitato o eccessivamente indulgente delle pene detentive, dall'altro lato manifesta scarsa fiducia nell'utilità sociale del carcere e nella sua capacità di arrecare benefici a chi ne è recluso. 
La definizione della funzione sociale del carcere rimanda a due questioni chiave:
-lo scopo della pena; 
-la definizione di criminale
Per quanto riguarda lo scopo della pena è necessario richiamare alcune delle principali teorie che sono state adottate in merito:
 -le teorie retributive: sono quelle concezioni che vedono nella pena la giusta retribuzione del danno causato dal reo con il suo gesto. Di questa idea fu il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel. 
-le teorie utilitaristiche:  considerano la pena giustificabile dal punto di vista della sua finalità sociale, che può essere definita in diversi modi: 
1. come forma di neutralizzazione del reo 
2. come dispositivo di prevenzione dei reati 
3.come strumento di rieducazione e di recupero sociale.

 Se al carcere si attribuisce il solo scopo rieducativo, questo perde del suo significato punitivo, per diventare uno strumento in grado di promuovere il reinserimento del soggetto recluso. Su ciò si basano molte istituzioni penitenziarie italiane, secondo la Costituzione. 

La lettura in chiave riabilitativa è plausibile sotto il profilo razionale e umanitario, ma presenta delle ambiguità: da un punto di vista empirico è infatti facile contestare l'idea che la prigione possa rieducare i soggetti condannati. Inoltre, da un punto di vista teorico, accentuare l'idea della carcerazione come riabilitazione rischia di assimilare lo status di detenuto a quello di un "malato".

Oggi i moderni trattamenti carcerari sottolineano la necessità del coinvolgimento attivo e responsabile del detenuto nel suo programma di rieducazione. 

Il carcere assolve ad altri scopi, non consapevoli o comunque non formalmente espliciti? Emile Durkheim coglie la sanzione detentiva inflitta al reo come una sorta di "rituale collettivo" in grado di ripristinare il legame sociale rotto in modo simbolico. Lo scopo più profondo della detenzione sarebbe quindi quello di rafforzare i vincoli sociali, il carcere è quindi anche un mezzo per ribadire la condanna dei comportamenti criminali. In questo modo il carcere contribuirebbe a costruire la categoria sociale della devianza e a distinguere il lecito dall'illecito.

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